I cerchi e le cerchie di Dante
Dante Alighieri non era solo un poeta. Ha difeso appassionatamente le sue opinioni politiche, ha partecipato a missioni diplomatiche e in gioventù è stato persino sul campo di battaglia. Gran parte della sua biografia si riflette nella “Divina Commedia”, l’opera principale della sua vita.
L’azione del poema si svolge alla vigilia della più grande tragedia di Dante: l’esilio da Firenze. E la maggior parte dei personaggi della Commedia non sono persone qualsiasi. Il Papa, ritenuto responsabile del suo esilio, viene collocato all’Inferno, un caro amico di Dante nel Purgatorio, e la donna da lui amata nel Paradiso.
In questo speciale si può leggere della vita di 13 personaggi associati al mondo reale di Dante. Ci sono due modi per farlo. Il primo permetterà di percorrere la sequenza degli incontri così come avvengono nella Divina Commedia. Nel secondo percorso, i personaggi sono invece disposti secondo la cronologia della vita di Dante. Le figure storiche sono le stesse, cambia solo l’ordine con cui se ne fa la conoscenza. Per selezionare un percorso, fate clic su uno dei pulsanti di seguito.
Dante, come protagonista della “Divina Commedia”,
entra nell’Oltretomba nel 1300 all’età di 35 anni. Il suo
viaggio inizia il Venerdì Santo (il giorno corrispondente
alla morte di Cristo). L’ingresso dell’Inferno, secondo
Dante, è nell’emisfero settentrionale, il cui centro
è Gerusalemme. L’Inferno stesso è una cavità a forma
di imbuto con nove “cerchi” (uno per i diversi tipi
di peccato) che scende al centro della terra.
Vari demoni vivono all’Inferno, tenendo prigioniere
e minacciando le anime peccaminose. E proprio al centro
dell’imbuto, nel punto più lontano da Dio, c’è Lucifero,
che ha una testa con tre facce, ed è bloccato nel ghiaccio.
Sbrana i tre peggiori peccatori: Bruto, Cassio e Giuda.
Dante trascorse gran parte della sua vita a Firenze.
La patria del poeta era una delle città più ricche
nell’Europa dei secoli XIII–XIV, al centro dei conflitti tra
il potere papale e quello imperiale, nonché delle lotte
intestine tra le diverse città e fazioni dell’Italia
settentrionale e centrale.
Culturalmente, Firenze non poteva competere con centri
universitari come Bologna e Parigi, ma, alla fine del XIII
secolo, era considerata comunque una città molto colta.
Dispute filosofiche e teologiche si svolgevano nelle
principali Chiese. Firenze e la Toscana furono anche il
luogo in cui vennero scritte le prime poesie in volgare.
A Firenze vissero molti personaggi famosi di quel tempo:
il poeta Guido Cavalcanti, il filosofo Brunetto Latini,
lo storico Giovanni Villani e tanti altri.
La “Commedia”, secondo Dante, è un’opera profondamente cristiana. Nonostante ciò, l’autore ha popolato l’Oltretomba di personaggi mitologici, antichi eroi, filosofi e poeti. Ad esempio, Dante pose i suoi modelli ideali, Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e Virgilio, nel primo cerchio dell’Inferno (Limbo), dove vivono i virtuosi non cristiani. Il poeta si è posto in una linea di ideale continuità con i suoi predecessori del mondo greco e romano. Il principale esempio è Virgilio, di cui Dante adottò non solo il “bellissimo” stile poetico, ma anche le idee politiche. Infatti, in altre sue opere, l’Alighieri esaltò il concetto di stato dell’Impero romano.
Nella Divina Commedia, Virgilio
conduce Dante fuori dalla "selva
oscura”, che è il simbolo dell’impasse
spirituale in cui si trovava il poeta nel
mezzo della propria vita.
La missione di Virgilio è mostrare
a Dante l’Oltretomba, di cui il poeta
deve parlare sulla terra. Dante fa del
pagano Virgilio la sua guida
nell’Inferno e nel Purgatorio,
ma seguì il “maestro” non solo come
personaggio della “Commedia”,
ma anche come autore
Alighieri conosceva a memoria l’“Eneide”
di Virgilio e, di fatto, traspose una delle sue
trame nelle rappresentazioni cristiane del suo
tempo. Come il troiano Enea, Dante viaggia nel
regno dei morti. Entrambi gli eroi hanno una
guida (la sacerdotessa Sibilla era quella
di Enea), entrambi incontrano guardiani
e creature mitologiche: Caronte, Cerbero,
Flegiàs e altri. Entrambi trovano i loro antenati
nel mondo dei morti, che predicono il loro
futuro: Enea vede suo padre e Dante vede il
suo trisavolo Cacciaguida. Inoltre, alcuni
personaggi dell’“Eneide” si ritrovano
nell’Oltretomba di Dante. Ad esempio,
a differenza di Virgilio che lo ha inventato,
Dante colloca nel Paradiso l’onesto e giusto
troiano Rifeo. Secondo Dante, dunque,
Rifeo era un predestinato in quanto Dio stesso
rivelò a lui la Verità e lui divenne un cristiano molto prima della fondazione del cristianesimo.
Nel regno dei morti descritto nell’”Eneide”,
a differenza della Divina Commedia, non
esiste un sistema di punizioni o ricompense
per l’uomo in base al suo comportamento
nella vita terrena. Ed Enea stesso non era lì
per osservare la condizione delle anime.
Egli persegue obiettivi personali: vuole
ritrovare suo padre. Dante, al contrario,
fa una specie di pellegrinaggio spirituale
e presta grande attenzione alla struttura
dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso,
oltre a elencare i vari tipi di peccati
e punizioni da una parte, e di meriti
e ricompense celesti dall’altra.
Anche la decisione di Dante di abbandonare altre opere e realizzare una grande opera poetica su politica, amore e fede lo rende simile a Virgilio, che scrisse la sua “Eneide” fino alla morte.
Negli ultimi anni della sua vita, Dante ebbe
una corrispondenza con il professore
bolognese Giovanni del Virgilio, un grande
ammiratore di Virgilio. Questi si lamentava
che la “Divina Commedia”, che racconta del
rapporto tra la vita e la morte, fosse scritta
in volgare (il dialetto popolare fiorentino).
In risposta, Dante dimostrò la propria
padronanza della lingua latina e compose
diverse Ecloghe, imitando lo stile di Virgilio.
Tuttavia, nella “Commedia”, l’Alighieri ha difeso
il diritto dei poeti italiani di parlare
di argomenti importanti nella loro lingua
madre, comprensibile alla maggior parte dei
compatrioti.
Nel mezzo del cammino della vita, Dante immagina di essersi perso in una fitta foresta (“la selva oscura”). Il poeta si ritrova all’ingresso dell’Inferno, dove viene bloccato da tre fiere: una lonza (lince), un leone e una lupa. Ad aiutarlo arriva Virgilio, che invita Dante a viaggiare attraverso gli inferi. Dopo aver appreso che Virgilio gli è stato mandato in aiuto da Beatrice (l’amata, morta, del poeta), Dante gli si affida ben volentieri. Il poeta antico diventa, per Dante, la guida attraverso l’Inferno e il Purgatorio.
Inferno,
I, 112–117
Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;
Le tre fiere a guardia dell’ingresso dell’inferno
corrispondono a tre costellazioni:
1. Lonza (Lince) 2. Leone 3. Lupa
Inferno, Primo Cerchio, Limbo
Virgilio vive nel Limbo. Qui ci
sono i bambini non battezzati
e le persone virtuose di
epoca precristiana. I due
pellegrini incontrano grandi
poeti: Omero, Orazio, Ovidio
e Lucano, che conducono
Dante al castello, cinto da sette mura, dove vivono gli
Spiriti magni: antichi eroi
e filosofi.
Dante piazzò molti nemici nell’Inferno della
“Divina Commedia”, ma a volte in tutta
sincerità simpatizzava con alcuni peccatori.
Ad esempio, nel cerchio dei lussuriosi il poeta
incontra Francesca, che proviene da Ravenna.
Durante la sua vita, per motivi politici,
era stata data in sposa al sovrano della città
di Rimini, un uomo nobile ma brutto e dal
cattivo carattere. La donna avrebbe invece
preferito il fratello minore di lui, Paolo.
Un giorno, avendo sorpreso i due amanti
insieme, il marito di Francesca li uccise
entrambi. Questo fatto accadde intorno al
1280. Nell’Oltretomba, gli sfortunati amanti
sono tormentati da un eterno vortice
tempestoso, ma l’anima di Francesca prevede
un destino ancora più terribile nelle
profondità dell’Inferno per il coniuge crudele.
La storia degli innamorati era
ampiamente conosciuta nell’Italia
medievale ed è stata più volte
elaborata in letteratura dopo
la “Divina Commedia”. Ma Dante
poteva conoscerla meglio degli altri,
per i rapporti con la famiglia
di Francesca
Il fatto è che durante gli anni dell’esilio politico (1302–1321), Dante vagò molto per
l’Italia. Dovette cercare asilo e protezione
presso amici e nobili. Nella seconda metà
degli anni Dieci del Trecento, Dante si trasferì
nella piccola città di Ravenna, in una casa
donatagli dal signore della città, Guido
Novello da Polenta, nipote della sfortunata
Francesca. Guido stesso era un poeta, e si
interessava molto di letteratura. Considerava
prestigioso ospitare a casa sua una persona
come Dante, all’epoca già famoso per la
pubblicazione dell’“Inferno” e del “Purgatorio”.
Il periodo della vita a Ravenna si rivelò il più
sereno per l’autore della “Divina Commedia”.
Ormai disilluso, si allontanò dagli ex
compagni di lotta e si ritirò dalla
partecipazione agli intrighi politici dell’Italia.
Il poeta rinunciò anche all’ultima possibilità
di tornare a Firenze, rifiutando nel 1315
un’amnistia per gli esiliati, le cui condizioni
erano particolarmente umilianti
e prevedevano anche una pubblica
ammissione di colpa. Ma alla fine riuscì
a riunirsi con i suoi figli Giovanni, Jacopo
e Pietro e la figlia Antonia. A Ravenna,
circondato da amici, Dante lavorò attivamente
al “Paradiso” e riuscì a completarlo poco prima
della morte.
Nel 1321, Dante andò in missione diplomatica
per conto di Guido Novello a Venezia. Il poeta
ci era abituato: spesso eseguiva ordini simili
su richiesta dei suoi protettori. Ma sulla via del
ritorno, Dante si ammalò di malaria e morì il
13 o 14 settembre all’età di 56 anni. Il poeta
fu sepolto a Ravenna. Secondo la leggenda,
Guido Novello posò sulla sua fronte quella corona d’alloro poetica che a Dante non era
mai stata concessa in vita. Contrariamente alla
volontà del poeta e a tutti i tentativi
successivi di Firenze, le sue ceneri non sono
mai state trasportate nella sua terra natale.
Inferno,
Secondo
Cerchio
Il secondo cerchio dell’Inferno è abitato dai lussuriosi e quindi
da coloro che hanno peccato per amore. Nel buio pesto dei
dannati, soffia un vento infernale, che simboleggia un turbine
di passioni.
Dante incontra all’Inferno le anime di Paolo e Francesca, che
sono condannate a essere percosse da questo turbine in un
abbraccio eterno. Francesca racconta al poeta come nacquero
i sentimenti d’amore tra lei e Paolo, durante la lettura
congiunta del romanzo che raccontava la storia d’amore tra
Lancillotto e Ginevra. E, sebbene la coppia sia punita per un
amore carnale illecito, Dante perde i sensi, tanto grande è la
sua compassione per loro.
Inferno, V, 133–138
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.
L’intero quinto canto è caratterizzato da immagini di uccelli, che sin dall’antichità simboleggiano la passione erotica
L’intero quinto canto è caratterizzato da immagini di uccelli, che sin dall’antichità simboleggiano la passione erotica
Tra gli eretici all’Inferno, Dante incontra il nobile aristocratico fiorentino Cavalcante dei Cavalcanti, punito per le sue vedute epicuree (non credeva nell’immortalità dell’anima). Questi era il padre del migliore amico del poeta, Guido Cavalcanti.
Guido Cavalcanti nacque intorno al 1250, fu un poeta eccezionale del suo tempo e seguace di un altro Guido, Guinizelli (che Dante colloca nella settima cornice del Purgatorio, in compagnia dei lussuriosi), e fondatore del “Dolce Stil Novo”. I tratti distintivi di questo stile erano il linguaggio allegorico, l’elogio dell’amore platonico e la “donna angelicata” come incarnazione della perfezione morale.
Fu la poesia ad avvicinare Guido Cavalcanti e Dante. In gioventù, quest’ultimo inviò a diversi poeti il suo sonetto di debutto, dedicato all’amata Beatrice, per essere giudicato, ma ricevette un giudizio favorevole solo da Guido. Così Guido
Cavalcanti divenne il suo mentore
e amico. Tuttavia, nel tempo,
le opinioni dei due poeti su alcune
importanti questioni filosofiche
e politiche si allontanarono di molto
Così, per esempio, nella “Commedia”, sentendo
la voce di Dante, l’ombra di Cavalcanti padre si
alza dalla tomba, sperando di vedere suo figlio
nelle vicinanze. Secondo l’ambizioso padre,
anche al genio creativo di Guido avrebbe
dovuto essere permesso di visitare
l’Oltretomba. Ma Dante incolpa delicatamente
il suo amico per la sua mancanza di rispetto
nei confronti di Virgilio. Si considerava l’erede
dell’antico poeta, che è divenuto la sua guida
per l’Inferno e il Purgatorio. La colpa
principale di Guido (come di suo padre) era la
mancanza di fede. E se Dante poteva vedere
l’Oltretomba non per sua volontà, ma per la
grazia di Dio.
Per quanto riguarda la politica, come Dante anche Guido era stato attivamente coinvolto
nella vita di Firenze. La sua famiglia
apparteneva storicamente ai sostenitori del
Papa (Guelfi), che si opponevano ai sostenitori
dell’Imperatore (Ghibellini). Per favorire la
riconciliazione fra le due fazioni, Cavalcante
dei Cavalcanti aveva fatto sposare Guido con
la figlia del capo dei Ghibellini, Farinata degli
Uberti, che, simbolicamente, si trova all’Inferno
nella tomba accanto a quella di Cavalcante.
Tuttavia, nella seconda metà del XIII secolo,
i Ghibellini persero gradualmente potere e i
Guelfi si divisero in “Bianchi” e “Neri”. Guido
era nel campo dei “Bianchi” insieme a Dante,
ed agì in modo molto radicale contro la parte
avversa. In particolare, organizzò, senza
successo, un complotto contro Corso Donati,
leader dei “Neri” e suo peggior nemico.
Nel giugno 1300, quando la situazione diventò
insostenibile, le autorità fiorentine espulsero
Guido dalla città, insieme ad altri ribelli
pericolosi di entrambe le parti. Anche Dante,
che a quel tempo ricopriva la posizione di uno
dei Priori della città fu coinvolto in questa
decisione. A Guido fu permesso, dopo due
mesi, di tornare a Firenze, ma in esilio il poeta
si era ammalato di malaria e morì poco dopo.
Inferno,
Sesto
Cerchio
Nel sesto cerchio dell’Inferno iniziano le mura della città di
Dite, che si estende in profondità per diversi gironi. Qui sono
collocate le anime dei cattivi maestri epicurei e degli eretici,
che giacciono in tombe roventi.
Dante incontra nel sesto cerchio Cavalcante dei Cavalcanti,
padre del suo carissimo amico Guido Cavalcanti. Cavalcante
vuole conoscere il destino di suo figlio, ma fraintende le parole
di Dante, ed essendosi convinto che Guido sia già morto, dalla
disperazione cade nella sua tomba.
Inferno, X, 58–63
...piangendo disse: «Se per questo cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
mio figlio ov’è? e perché non è teco?»
E io a lui: «Da me stesso non vegno:
colui ch’attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».
Il poeta, politico e filosofo fiorentino Brunetto Latini ebbe una grande influenza sulla formazione e le opinioni di Dante, ma nella “Commedia” viene collocato nelle profondità dell’inferno.
Era considerato uno scrittore eccezionale
del suo tempo. In un certo senso, la sua
biografia è simile a quella di Dante. Dopo aver
iniziato come notaio cittadino, Brunetto fece
carriera politica e nel 1260 gli venne affidato
il ruolo di ambasciatore presso il re Alfonso X
di Castiglia. I rappresentanti di Firenze, Guelfi
e fedeli al Papa, volevano chiedere aiuto al re
nella lotta contro Siena, che era di parte
ghibellina e, quindi, fedele all’Imperatore.
Ma la missione non ebbe successo. Ancora
peggio, nel corso di questo viaggio
diplomatico, i Guelfi fiorentini persero
a Montaperti un’importante battaglia,
a seguito della quale la città fu poi dominata
dai Ghibellini per diversi anni.
Brunetto fu costretto a fuggire in Francia,
dove visse in esilio per quasi sette anni. Lì scrisse una delle sue opere principali: la raccolta filosofica ed enciclopedica “Tresor”. La continuazione ideale di quest’opera fu il “Convivio” di Dante.
Nel 1267, Brunetto tornò a Firenze e ottenne un successo ancora maggiore in politica. Vent’anni dopo, venne persino eletto Priore, uno dei co-governanti della Repubblica fiorentina. E nella Battaglia di Campaldino del 1289 (combattuta anche dal giovane Dante) era uno dei membri del consiglio militare.
Inoltre, Brunetto continuò attivamente a occuparsi della propagazione della cultura tra i concittadini. Tradusse Cicerone, e usò come fonti principali nelle sue opere Aristotele, Cesare, Virgilio, Ovidio e altri antichi pensatori. Il famoso storico e cronista fiorentino Giovanni Villani affermò che il suo contemporaneo era stato “cominciatore e maestro in digrossare i fiorentini, e farli scorti in bene parlare e in sapere giudicare, e reggere la nostra
repubblica secondo la politica”. Brunetto aveva molti allievi giovani e di talento, tra cui lo stesso Dante e il suo amico Guido Cavalcanti, altro famoso poeta. Apparentemente, furono queste lezioni a modellare la visione del mondo di Dante e le sue predilezioni letterarie.
Brunetto Latini morì nel 1294,
quando Dante aveva 29 anni.
Nonostante i meriti del passato,
nella “Divina Commedia” il Poeta
assegnò al suo maestro un posto
all’Inferno tra i sodomiti
La sodomia a Firenze era diffusa.
Nel Medioevo, questo termine comprendeva
non solo le relazioni tra persone dello stesso
sesso, ma anche eventuali pratiche
eterosessuali non finalizzate alla
procreazione. Già all’inizio del XIV secolo,
a Firenze la sodomia cominciò a essere
considerata un crimine grave, al pari
dell’omicidio, ed era punibile con la
castrazione o il rogo.
Secondo un’altra versione, Brunetto finì all’Inferno non tanto per la sua vita sessuale, ma a causa dell’arroganza e dell’egocentrismo. Insomma, Dante avrebbe voluto punire il maestro per la sua eccessiva voglia di fama, e per il fatto che Brunetto divenne ostaggio del desiderio di farsi una posizione nella società fiorentina.
Inferno,
Settimo
Cerchio,
Terzo Girone
Nel settimo cerchio dell’Inferno ci sono i violenti. Questa zona
è divisa in tre gironi: un fiume di sangue bollente, il Flegetonte,
una macchia cespugliosa, e una spiaggia di sabbia ardente
sulla quale cade una pioggia di fuoco. Sul sabbione ardente, i
bestemmiatori giacciono a faccia in su, gli usurai siedono
rannicchiati e i «peccatori contro natura» (sodomiti) devono
muoversi instancabilmente. Questi ultimi sono la maggioranza,
ma i bestemmiatori gridano più forte degli altri.
Tra i sodomiti, Dante incontra e saluta con riverenza il suo
maestro, Brunetto Latini. Questi gli preannuncia la
persecuzione e l’esilio e chiede all’ex allievo di prendersi cura
della sua enciclopedia, intitolata «Tresor».
Inferno, XV, 31–33
E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia
se Brunetto Latino un poco teco
ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia».
Al tempo del viaggio di Dante nell’Oltretomba,
il suo peggior nemico, Papa Bonifacio VIII,
era ancora vivo. Pertanto, Dante, in anticipo
e non a caso, determinò per lui un posto tra
i simoniaci dell’ottavo cerchio dell’Inferno.
L’ambizioso Benedetto Caetani, futuro Papa Bonifacio VIII, organizzò la sua ascesa al trono papale convincendo l’ingenuo e debole predecessore, Papa Celestino V, ad abdicare. Nel 1294 prese il suo posto e piazzò i suoi parenti in tutte le posizioni clericali più elevate
L’anno 1300 fu il periodo di massimo
splendore del regno di Bonifacio VIII.
La promessa di indulgenza plenaria per
l’Anno Santo aveva attirato molti pellegrini
a Roma, con le loro donazioni alla Chiesa.
Ma a Firenze in quei mesi scoppiò una grave
crisi politica. Il motivo era la faida tra due
potenti famiglie, che si dividevano la città:
un discendente di una vecchia famiglia
cavalleresca e parente della moglie di Dante,
Corso Donati, presumibilmente avvelenò la sua
prima moglie, la sorella del banchiere
Vieri de’ Cerchi.
In effetti, i contrasti fra gli interessi delle diverse fazioni si aggravarono molto a Firenze. Dopo che i sostenitori dell’Imperatore (fazione dei Ghibellini) furono espulsi dalla città, forti disaccordi sorsero tra i ranghi dei sostenitori del Papa (fazione dei Guelfi). I popolani ricchi avevano di fatto spinto l’aristocrazia fuori dai posti di controllo di Firenze, e i nobili cercavano a tutti i costi di invertire la tendenza. Di conseguenza, la fazione dei Guelfi si divise in “Bianchi”, i popolani ricchi guidati dai Cerchi, e “Neri”, i nobili guidati dai Donati. La divisione tra le fazioni, tuttavia, non era rigida, ma condizionata dagli interessi delle singole persone. Ad esempio, Dante, pur provenendo dalla nobiltà, si unì ai “Bianchi”, che erano più impegnati a difendere lo stato di diritto e che volevano collaborare con i ghibellini per frenare il potere del Papa.
Bonifacio VIII appoggiò il leader dei “Neri” Corso Donati. Il Pontefice sperava di portare al potere una fazione a lui fedele e di annettere la Toscana ai suoi possedimenti. All’inizio del 1301, attirò il fratello del re francese Carlo di Valois nel conflitto fiorentino, e in giugno i “Neri” iniziarono abbastanza apertamente a preparare un colpo di Stato. I rivoltosi furono sanzionati e i loro capi vennero espulsi dalla città, ma questo non servì a nulla. Per salvare la situazione, tre ambasciatori furono inviati dal Papa, tra cui Dante. Ma Bonifacio VIII non li accolse. Mentre gli ambasciatori erano a Roma, un colpo di Stato ebbe luogo a Firenze, con il sostegno del Pontefice.
Nel novembre 1301, il rappresentante papale,
Carlo di Valois, nelle vesti di pacificatore, entrò
in città. Insieme a lui entrò un piccolo
distaccamento di cavalieri, guidati da Corso
Donati. Il governo dei "Bianchi" cadde.
Nel 1302, un tribunale, con la minaccia della
pena di morte, proibì a Dante e ai suoi
compagni di fazione di tornare a Firenze.
La casa del poeta fu distrutta e lui non poté mai più rimettere piede nella sua città natale.
Gli eventi fiorentini per molti aspetti
determinarono il successivo riavvicinamento
del poeta alla fazione dei ghibellini, alleati
dell’Imperatore, e il suo impegno per l’idea
di un impero universale, secondo la quale il
potere era concesso al monarca da Dio,
e non dalla Chiesa.
Nel frattempo, Bonifacio VIII cercò di stabilire
un potere papale illimitato in Europa, ma ne
pagò lo scotto. Il Pontefice si trovò di fronte la
rigida opposizione del re di Francia, Filippo IV,
detto il Bello (il loro conflitto scoppiò dopo la
collaborazione con il fratello del re, Carlo
Valois, in Italia). In risposta alle affermazioni
del Papa, Filippo IV lo accusò di eresia e di
usurpazione del potere. Nel settembre 1303,
fu fatto un tentativo di arrestare Bonifacio VIII.
Il Papa fu preso in custodia e, secondo una
versione, gli fu persino dato uno schiaffo in
faccia; il celebre “Schiaffo di Anagni”. I suoi
sostenitori liberarono il Pontefice, ma poche settimane dopo morì. Nel 1305 fu sostituito da un candidato appoggiato dal re di Francia, Clemente V. La corte papale fu trasferita ad Avignone, in Francia, dopo di che iniziò il periodo della cosiddetta “Cattività avignonese”, che indebolì notevolmente la Chiesa cattolica in Europa.
Inferno,
Ottavo
Cerchio,
Terza Bolgia
Nell’ottavo cerchio dell’Inferno ci sono i falsi e i frodatori.
Ci sono così tante sottospecie di questo genere di peccati che
il cerchio degli inferi è diviso in ben dieci bolge, e ognuna ha il
suo tipo di punizione. Dante colloca nella terza bolgia i
simoniaci, ovvero chi vende i beni spirituali della Chiesa.
Qui Dante incontra l’anima del peccatore Papa Niccolò III che
scambia Dante per Bonifacio VIII, e si mostra sorpreso di
vederlo apparire prima del previsto, perché sa che il suo
“successore” morirà solo nel 1303.
Inferno, XIX, 52–57
Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ’nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?»
Dal punto più profondo dell’Inferno, Dante e Virgilio
salgono in superficie e si trovano sul lato opposto della
Terra, nell’emisfero meridionale, ai piedi del Purgatorio.
All’ingresso al “Secondo Regno” fa da custode l’antico
politico Catone Uticense, uomo saggio dell’antichità
molto stimato da Dante.
Il Purgatorio è una montagna formata da sette “cornici”,
dove le anime di coloro che si pentono, attraverso la
sofferenza e la preghiera, possono espiare i sette peccati
capitali. Pertanto, all’inizio l’angelo stampa sulla fronte
di Dante sette lettere P (“peccato”), che altri angeli
guardiani cancellano mentre il poeta sale. In cima al
Purgatorio c’è il Paradiso terrestre.
A Firenze gli esili per motivi politici non erano una rarità.
Molto dipendeva da quale fazione, in un determinato
momento, era appoggiata dalle grandi potenze dell’epoca
(Impero e Papato).
All’inizio del XIV secolo Dante si ritrovò dalla parte dei
perdenti. Aveva quasi quarant’anni, era nel pieno delle
forze creative e della sua carriera politica, ma in un
attimo perse tutto: la casa, i rapporti con i familiari,
i mezzi di sussistenza.
Dante dovette vagare, in esilio, per il resto della vita.
Ma quello fu anche un periodo molto fruttuoso dal punto
di vista artistico: il poeta scrisse diverse opere
importanti, tra cui la “Divina Commedia”. In ogni caso,
il fatto di non poter più tornare a Firenze fu per lui una
grande tragedia personale.
Bonconte da Montefeltro era il figlio maggiore
di un famoso politico e condottiero dell’epoca,
il conte Guido da Montefeltro. Come suo padre,
combatté dalla parte dei seguaci
dell’Imperatore (i Ghibellini di Arezzo)
contro i Guelfi Fiorentini (nella battaglia
di Campaldino).
Nonostante la sua età (al momento della
morte, Bonсonte aveva tra i 30 e i 40 anni),
era già riuscito a diventare un capitano della
cavalleria e fu il comandante dei Ghibellini
nella battaglia di Campaldino.
Successivamente, questa battaglia, in cui i
Ghibellini furono sconfitti, giocherà un ruolo
significativo nel rafforzare la posizione di
Firenze sulla penisola italiana. E i sostenitori
dell’Imperatore saranno alla fine espulsi
dalla città.
La sanguinosa battaglia ebbe luogo l’11
giugno 1289. Entrambi gli eserciti avevano
dimensioni simili, ma i Ghibellini subirono
una sconfitta schiacciante. Morirono entrambi
i capi degli Aretini, incluso Bonconte, il cui corpo non fu mai ritrovato. Tuttavia, ciò non sorprende: circa duemila persone furono uccise sul campo di battaglia. È possibile che il corpo di Bonconte sia stato sfigurato a tal punto da non riuscire a identificarlo. Tuttavia, a causa della mancanza del cadavere, le circostanze della morte del Montefeltro dettero luogo rapidamente a molti miti e leggende.
La battaglia di Campaldino fu una
delle due battaglie a cui Dante fu
presente di persona (nell’agosto
dello stesso anno partecipò
all’assedio di un castello vicino a
Pisa). A quel tempo aveva 24 anni e,
non ancora celebre, combatté dalla
parte dei guelfi, come tutti i suoi
antenati
Il massacro lo impressionò fortemente.
Nella “Divina Commedia”, il poeta ricorda
ripetutamente questa battaglia. Anche nella
quinta bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno,
Barbariccia, capo dei demòni, cerca di
spaventare Dante, emettendo un suono forte
dal sedere (“Ed elli avea del cul fatto
trombetta”) per dare l’ordine dell’Avanti marsc’
a un gruppo di diavoli, nel modo in cui,
in battaglia, con la tromba si davano ordini
alle truppe. Nella “Commedia” Dante incontra
Bonconte da Montefeltro nell’Antipurgatorio,
e questi rivela le circostanze della sua morte.
Antipurgatorio,
Secondo
Ripiano
Qui vivono le anime dei morti che hanno indugiato a pentirsi
fino all’ultimo momento. Una folla di persone scende dal
pendio e canta il salmo del Miserere (“Pietà di me, o Dio…”).
Dante incontra nell’Antipurgatorio Bonconte da Montefeltro.
Il Conte afferma che nella Battaglia di Campaldino fu ferito
mortalmente alla gola, ma riuscì a raggiungere la foce del
torrente Archiano. Lì, prima di morire, fece in tempo a pentirsi
dei suoi peccati, e ciò salvò la sua anima dai tormenti
dell’Inferno. Ma il diavolo contese a un angelo il corpo
di Bonconte e provocò un’alluvione che spazzò via il cadavere
e lo fece sprofondare sul fondo del fiume Arno, sepolto sotto
uno strato di limo e ghiaia.
Purgatorio,
V, 88–90
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch’io vo tra costor con bassa fronte».
Il marchese Corrado Malaspina il Giovane proveniva da un’influente e antica famiglia toscana. Era omonimo di suo nonno, Corrado Malaspina il Vecchio, più famoso, che era stato amico stretto di Federico II di Svevia, Imperatore del Sacro Romano Impero. La famiglia Malaspina possedeva vaste terre in Lunigiana, una regione storica tra Firenze e Genova. Qui Dante trovò rifugio nel primo periodo del suo esilio, nel 1306-1307. Non si sa molto di questo periodo. Il poeta fiorentino fu accolto calorosamente dai cugini di Corrado, che era morto nel 1294.
In segno di gratitudine per l’ospitalità, Dante eseguì delle missioni diplomatiche per conto dei Malaspina. Ad esempio, con il suo aiuto, venne concluso un accordo sulla cessazione delle ostilità con il vescovo e il conte della città di Luni
La durata del periodo del soggiorno presso la famiglia dei Malaspina fu fruttuosa in termini
di produzione letteraria. Qui Dante scrisse
due trattati di Linguistica e di Filosofia:
sull’argomento della lingua volgare (il
secondo volume dell’opera “De vulgari
eloquentia”) e sulla poesia moderna (il
“Convivio”). Tuttavia, non terminò mai questi
libri. Nel castello dei Malaspina, il poeta
lavorò anche alla prima cantica della “Divina
Commedia”, l’Inferno.
Dante fu immensamente grato per
l’accoglienza ricevuta dalla dinastia della
Lunigiana. Ciò è evidente da quanto spesso
il poeta ricorda con parole gentili la famiglia
dei Malaspina nella "Commedia". L’episodio
più evidente è, naturalmente, l’incontro di
Dante con Corrado nella Valletta dei principi
del “Purgatorio”. Il poeta elogia la famiglia
Malaspina, sostenendo che questa nobile
famiglia è conosciuta in tutta Europa.
Corrado in risposta prevede che Dante sarà
in grado di verificare in prima persona la loro
ospitalità trovando rifugio nel castello dei
Malaspina.
Lodi simili nella “Commedia” li ricevette solo
Cangrande della Scala, sovrano di Verona,
che ospitò Dante dopo i marchesi Malaspina,
e per molti anni divenne suo caro amico
e mecenate. Tanto che prima di tutti poté
leggere il “Paradiso”, che gli fu solennemente
dedicato da Dante nell’Epistola XIII. Il poeta
non fu così gentile con il resto degli
aristocratici italiani di quel tempo: nella
migliore delle ipotesi li trattò con fredda
neutralità, nel peggiore dei casi con disprezzo
e toni caustici.
Malaspina — Mala+spina
Antipurgatorio,
Valletta dei
principi
Nella Valletta dei principi dell’Antipurgatorio ci sono quei
sovrani che, durante la loro vita, furono troppo attratti da
interessi personali e non ebbero la volontà di adempiere ai
doveri del proprio ruolo istituzionale. Al tramonto, due angeli
armati di spada appaiono lungo i confini della valle per
proteggere i suoi abitanti dal serpente-tentatore.
Qui Dante incontra il marchese Corrado Malaspina il Giovane.
L’anima chiede del destino del “territori” appartenenti alla
famiglia. Il poeta risponde che le lodi per la famiglia Malaspina
sono diffuse in tutta Europa, ma lui stesso le conosce solo dalle
parole degli altri. Corrado prevede che dopo sette anni,
Dante troverà rifugio nella loro casa e potrà constatare
di persona la loro bontà.
Purgatorio, VIII, 118–120
“Fui chiamato Currado Malaspina;
non son l’antico, ma di lui discesi;
a’ miei portai l’amor che qui raffina”
La dinastia dei Malaspina discende dalla dinastia degli Obertenghi e nel 1221 si divise in due rami con emblemi simili. Sulla riva destra del Magra, il fiume della regione storica della Lunigiana, si estendevano i possedimenti della casata dello “Spino secco”, e, sulla sinistra, i possedimenti della casa dello “Spino Fiorito”. Il primo ramo fu fondato dal nonno di Corrado Malaspina.
Malaspina — Mala+spina
Forese Donati era uno degli amici più cari
di Dante, e inoltre era un suo lontano parente:
il futuro poeta, all’età di 12 anni, fu fatto
fidanzare con la cugina di sei anni di Forese,
Gemma Donati. Successivamente, Dante
adempì all’obbligo e sposò Gemma. Molto
probabilmente, ciò accadde nel 1285, cinque
anni prima della morte della sua amata
Beatrice. A quei tempi, il matrimonio era
utilizzato anche per la formazione di alleanze
politiche o d’affari e per assicurare la
discendenza attraverso la nascita di bambini.
Un uomo poteva sperimentare l’amore
romantico secondo la tradizione cortese non
per sua moglie, ma per una donna
completamente diversa.
Fu a Beatrice che il poeta dedicò le sue opere; Gemma non la menzionò mai, quindi è difficile dire se il loro matrimonio fosse felice. È noto che ebbero quattro figli: Giovanni, Jacopo, Pietro e Antonia. Quando Dante fu espulso da Firenze a causa del suo principale oppositore politico, Corso Donati, un parente di sua
moglie e fratello di Forese, Gemma rimase
in città con i bambini. E da allora non vide mai
più suo marito.
Per quanto riguarda Forese,
quasi nessuna informazione è
rimasta sulla sua biografia e sulle
sue abitudini, tranne il fatto che
aveva la reputazione di burlone
e di amante del bere
Egli, quindi, può essere giudicato solo per la
sua “Tenzone” poetica con Dante, una sorta
di “rap battle” medievale. In questi sonetti,
Alighieri si allontana dalla lingua alta delle
sue prime poesie e dimostra quanto vasti
fossero i suoi orizzonti creativi, lavorando qui
nello stile “basso”. Sono sopravvissuti sei
sonetti (tre a testa), in cui Dante e Forese
si gettano scherzosamente e cinicamente
fango l’uno sull’altro in forma poetica.
Alighieri accusa Forese di ingordigia e furti
e insinua che non appaghi la moglie a letto.
Donati, in risposta, ride della povertà di Dante
e afferma che finirà i suoi giorni nella casa di
Porto Pinti (un rifugio per i poveri, fondato
dalla famiglia Donati): “Allo spedale a Pinti ha’
riparare; e già mi par vedere stare a desco,
ed in terzo, Alighier colla farsata”.
Gli attacchi reciproci, tuttavia, erano un tributo
alla tradizione poetica della tenzone, ma nella
vita Dante e Forese andavano d’accordo. Molto
probabilmente, anche la loro stretta amicizia
iniziò quasi immediatamente dopo la morte
di Beatrice. Fatti indiretti indicano che Dante
non era troppo orgoglioso di questo periodo
della sua vita. Era depresso dopo la perdita
della sua amata e cercava di affogare il suo
dolore nel vino e nel divertimento. L’amicizia
con Forese comunque rimase.
Questo è dimostrato quantomeno dal fatto
che l’Alighieri, nonostante tutti i suoi peccati,
mise il suo amico morto (era scomparso nel
1296, a 40 anni non compiuti) nella sesta
cornice del Purgatorio. E il loro stesso incontro
nella “Divina Commedia” è pieno di sincero
amore e simpatia. Nel Purgatorio, Donati
appare magro per la fame e per la sete.
Per Alighieri questa visione è davvero
scioccante e dice che il suo cuore si sta di
nuovo stringendo per il dolore, anche se aveva
già pianto il suo amico al momento della
morte. Entrambi ricordano con nostalgia il
tempo trascorso insieme.
Purgatorio,
Sesta Cornice
Nella sesta cornice del Purgatorio ci sono i golosi, che sono
condannati all’eterno tormento della fame e della sete. Corrono
senza sosta sotto alberi carichi di frutti, ma non possono
raccoglierli.
Dante incontra lì un parente di sua moglie e suo amico di
gioventù, Forese Donati, in mezzo a una folla di ombre dai volti
insanguinati. Forese afferma che grazie alla sua pia moglie
Nella, si è accorciata di molto la sua presenza
nell’Antipurgatorio.
Purgatorio,
XXIII, 46–51
Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese.
«Deh, non contendere a l’asciutta scabbia
che mi scolora», pregava, «la pelle,
né a difetto di carne ch’io abbia;
Purgatorio, XXIII, 31–33
Parean l’occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge ‘omo’
ben avria quivi conosciuta l’emme.
Nel Medioevo, si credeva che nel volto umano si potesse
leggere la parola “omo” (“uomo”), formata dagli occhi (le due
”o”), e dalle arcate sopracciliari congiunte al centro dalla linea
del naso e completata ai due lati dagli zigomi (la “m” gotica
maiuscola). Alcuni predicatori si spingevano a leggere
“Homo dei” (“Uomo di Dio”). La lettera “m” sarebbe stata
particolarmente evidente sui volti delle persone emaciate.
Dante e Beatrice vivevano nello stesso
quartiere di Firenze, le loro famiglie
appartenevano alla stessa fazione politica,
e il poeta fece persino amicizia con il fratello
maggiore di Beatrice. Ciononostante,
la frequentazione di Dante con la sua amata
fu limitata a pochi brevi incontri. Almeno così
ha più volte affermato il poeta.
Secondo la leggenda, Dante vide per
la prima volta la futura musa
durante una festa nella casa del
padre di lei, il rispettato banchiere
Folco Portinari. Bice e Dante avevano
allora circa nove anni. La giovane età
non impedì al futuro poeta
di
innamorarsi a prima vista
L’incontro successivo ebbe luogo nove anni
dopo: Dante vide Beatrice per strada e lei lo
salutò con un lieve inchino, che a quel tempo
era un gesto molto significativo. Poco dopo,
il poeta scrisse il suo primo sonetto,
che dedicò alla dama del cuore.
Al momento di questo incontro, Beatrice
era già sposata: il suo era un matrimonio
politico e d’interesse con il discendente
di un’influente famiglia fiorentina, Simone
dei Bardi. L’amata di Dante entrò nel
circolo più rispettabile dell’élite cittadina
e salì un gradino più in alto del poeta
sulla scala sociale.
Tutto ciò non impedì a Dante di adorare
Beatrice da lontano e di dedicarle poesie.
Però, per non compromettere la sua
amata, il poeta prestò attenzione ad altre
donne, come era consuetudine nella
tradizione cortese. Esiste una teoria
secondo cui queste non erano solo
donne-schermo: Dante poteva davvero
provare teneri sentimenti per loro.
Comunque sia, questi corteggiamenti si
ritorsero contro di lui. Durante uno degli
incontri casuali, Beatrice respinse il poeta,
non rispondendo al suo inchino. Dopo
questo fatto, Dante troncò ogni relazione
con le altre.
Beatrice morì a 24 anni di età, nel 1290
(cioè dieci anni prima che iniziassero gli
eventi fittizi narrati nella “Divina Commedia”).
Per ammissione dello stesso Dante, il poeta in
seguito si interessò per qualche tempo a
un’altra donna, che lo confortò nel dolore.
Più tardi, però, affermò che questa signora era
in realtà la filosofia, il cui studio lo aveva
molto impegnato nella prima metà del degli
anni Novanta del Duecento. Nella “Commedia”,
Beatrice rimprovera al poeta di aver tradito la
sua memoria e di aver seguito una falsa strada
nella ricerca della verità.
Dopo la morte della sua amata, Dante
compose i suoi primi testi, quelli della raccolta
della “Vita Nuova”, in cui le poesie si alternano
a spiegazioni in prosa del loro significato
e a una descrizione delle circostanze in cui
sono state composte. I dettagli principali della
conoscenza di Dante e della sua donna amata
sono noti proprio grazie a quest’opera.
Ovviamente non mancano le esagerazioni o,
quantomeno, gli adattamento dei fatti reali,
il tutto per il piacere di creare l’immagine
ideale di Beatrice. Ad esempio, il ripetersi del
numero 9 nella loro storia non è una
coincidenza, perché, essendo il numero 9 il
simbolo dell’amore di Dio, il ripetersi del 9
nella loro storia era il simbolo della sacralità
dell’amore di Dante per Beatrice.
Nella “Vita Nuova” il poeta ha idealizzato una
vera donna, la cui immagine è associata
all’angelo e alla figura di Cristo. Nella
“Commedia”, Beatrice rappresenta l’allegoria
della teologia e della saggezza divina. Lei si
trova tra i santi e gli apostoli, padroneggia
la più alta conoscenza e aiuta Dante
a ottenere una visione spirituale.
Purgatorio,
Paradiso
terrestre
Il Paradiso terrestre è la cima della montagna del Purgatorio.
Dopo la cacciata di Adamo ed Eva, l’ingresso per i vivi è stato
chiuso. Dante incontra qui la bella donna Matelda. Lei battezza
il poeta nel fiume Lete, immergendo Dante nell’acqua con la
testa. Dopo aver lavato via i pesanti ricordi, il poeta è ora in
grado di guardare negli occhi la sua amata Beatrice.
Menzionata per la prima volta nella “Divina Commedia” come
ispiratrice del viaggio di Dante attraverso gli Inferi, il poeta la
incontra nel Paradiso terrestre. Beatrice appare su un carro che
va incontro a Dante. L’amata chiama il poeta a pentirsi e lo
eleva in cielo.
Purgatorio, XXX, 31–33
...sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.
Beatrice vive nelle altezze del Paradiso e prende posto nella Candida Rosa tra i santi e gli apostoli.
7 candelabri
7 liste luminose
24 vecchi
4 animali a sei ali
3 donne che danzano
Il Grifone
Il carro con Beatrice
4 donne che danzano
2 vecchi
4 personaggi umili
Un vecchio solitario
Beatrice vive nelle altezze del Paradiso e prende posto nella
Candida Rosa tra i santi e gli apostoli.
Il Paradiso di Dante è strutturato secondo il sistema
geocentrico di Tolomeo: quindi al centro delle nove sfere
celesti si trova la Terra. Ogni cielo del Paradiso è fatto
ruotare da una intelligenza angelica, e il nono, il Primo
mobile, attinge il moto direttamente dalla vicinanza
a Dio. Intorno al raggio di luce riflessa si forma la
Candida Rosa dell’Empireo, dove risiedono i beati.
La stessa luce consente a Dante di salire nelle sfere.
Ma tale luce è talmente intensa e insopportabile per un
uomo, che il poeta guarda il suo riflesso negli occhi della
sua amata Beatrice.
La gerarchia del Paradiso è diversa da quella dell’Inferno
e del Purgatorio: ogni “cielo” qui è ugualmente felice,
e le anime sono soddisfatte di ciò che hanno.
Carlo Martello d’Angiò era il figlio maggiore
del re di Napoli Carlo II, detto lo Zoppo.
La famiglia faceva grande affidamento su
di lui. Non sorprende che il primogenito abbia
ricevuto il nome pesante di “Martello”.
Allo stesso modo, si chiamava il leggendario
re dei Franchi e il fondatore della dinastia dei
Carolingi, vissuto nell’VIII secolo. Carlo
Martello d’Angiò doveva realizzare i piani
ambiziosi che suo nonno Carlo I aveva già
covato: la conquista definitiva della Sicilia
e l’espansione dei territori del Regno di Napoli.
Inoltre, Carlo Martello era l’erede non solo
delle terre del Sud Italia, ma anche del trono
ungherese.
Tuttavia, il nome datogli alla nascita non corrispondeva alla reale indole del Principe. Egli non era così determinato come il suo omonimo, e non tanto ambizioso come i suoi genitori e suo nonno. Dopo la morte dell’allora re d’Ungheria, il diciannovenne Carlo Martello ereditò solo formalmente il suo titolo. Ma non esercitò i propri diritti al trono, a differenza
di suo figlio, Carlo Roberto d’Angiò, che in
seguito divenne noto come uno dei sovrani
ungheresi di maggior successo. Nel 1295,
Carlo Martello morì improvvisamente per
una pestilenza all’età di 23 anni. Ma riuscì
a lasciare un segno indelebile nella vita
di Dante.
Un anno prima della sua morte, Carlo
Martello aveva visitato la Toscana per
incontrare suo padre. Stava arrivando dalla
Francia per firmare la tanto attesa tregua con
l’attuale sovrano di Sicilia. A Siena, Carlo
Martello fu accolto da una delegazione di
ambasciatori della Repubblica fiorentina, che
includeva anche il ventinovenne Dante. Pochi
giorni dopo, Carlo arrivò nella stessa Firenze.
I ricercatori suggeriscono che il principe
e il poeta in quella occasione ebbero
la possibilità di constatare la condivisione
di opinioni comuni in campo artistico.
Probabilmente, Carlo Martello riuscì a leggere
le poesie di Dante e gli piacquero. E Carlo,
a sua volta, fece così buona impressione al
poeta, che questi, nella “Divina Commedia”
mise il principe defunto nel terzo cielo del
paradiso.
Probabilmente, Dante vide
un grande potenziale politico in
Carlo Martello. Agli occhi del poeta,
il principe divenne il prototipo del
monarca illuminato e salvatore
ideale dell’Italia. Successivamente,
Dante assegnerà questo ruolo al
sovrano del Sacro Romano Impero,
Enrico (Arrigo, in volgare) VII
di Lussemburgo
Dopo aver incontrato Carlo Martello d’Angiò,
la carriera politica di Dante iniziò a svilupparsi
rapidamente. Nel 1295, fu eletto come uno
degli anziani della sua parte di città, e poi entrò
nel Consiglio del cento, che era responsabile
degli affari finanziari della Repubblica.
Nel 1300, infine, Dante salì alla posizione di
Priore, diventando così uno dei sei governanti
di Firenze (la carica durava due mesi).
La sua carriera politica non durò a lungo. Un anno dopo, gli avversari politici di Dante salirono al potere, ed espulsero per sempre il poeta dalla sua città natale.
Paradiso,
Terzo Cielo,
Venere
Nel terzo cielo, le piccole stelle ruotano a velocità diverse:
sono gli spiriti amanti, ossia i beati che si sono resi conto nel
tempo che l’amore verso il Dio è più importante di ogni altra
cosa. Parlano con Dante della necessità di seguire
attentamente la natura e il potere purificatore dell’amore.
La sfera di Venere è governata dai cosiddetti Principati,
angeli che proteggono ed illuminano i sovrani terreni.
Qui Dante incontra il principe Carlo Martello d'Angiò. Nella
“Divina Commedia”, lui è l’esempio della giovinezza maschile
e l’immagine di un giovane sovrano illuminato, amico di poeti
e artisti.
Paradiso, VIII, 49–51
Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe
giù poco tempo; e se più fosse stato,
molto sarà di mal, che non sarebbe.
Carlo e Dante discutono della natura politica dell’uomo. Seguendo Aristotele, il poeta crede che l’impegno civile sia necessario per la realizzazione degli uomini e delle relazioni tra le persone.
Carlo afferma che dovrebbe esserci una divisione del lavoro nella società, visto che le persone nascono con inclinazioni e talenti diversi e fornisce esempi:
Condottiero |
|
Legislatore |
|
Sacerdote |
|
Inventore e artista |
Tommaso d’Aquino proveniva da una nobile famiglia italiana. All’età di cinque anni, la famiglia lo mandò a studiare in un monastero benedettino, ma, nell’età matura, Tommaso scelse di unirsi all’ordine domenicano. Durante la sua vita, ha scritto decine di trattati e commenti su testi biblici. Il filosofo elaborò le sue conclusioni teologiche partendo dagli insegnamenti di Aristotele. Le sue opere più celebri sono la “Summa contra Gentiles” e la “Somma teologica” (“Summa Theologiae”).
Tommaso morì nel 1274, quando Dante aveva
nove anni. Sulla base degli insegnamenti
di Tommaso d’Aquino, si sviluppò una delle
tendenze più influenti del cattolicesimo:
il tomismo.
Ma nella seconda metà del XIII
secolo, non tutti i contemporanei
accettavano le idee del filosofo sulla
fede. Tommaso fu canonizzato solo
nel 1323, due anni dopo la morte
di Dante
Dante iniziò ad approfondire la conoscenza
della filosofia dopo la perdita della sua
amata Beatrice, nel 1290. Rivolse la sua
attenzione ai testi di pensatori antichi e
scolastici medievali. Probabilmente la più
grande influenza sul poeta fu esercitata
proprio da Tommaso d’Aquino. Dante
conobbe da vicino i suoi insegnamenti,
probabilmente, nella chiesa di Santa Maria
Novella a Firenze, dove i domenicani
leggevano sermoni filosofici e tenevano
dibattiti sotto la guida del discepolo
prediletto di Tommaso, Remigio dei Girolami.
Il poeta condivideva l’opinione di Tommaso
d’Aquino secondo cui filosofia, teologia,
ragione e fede possono coesistere in
armonia. Era d’accordo con il filosofo sul
rapporto tra forma e materia (la materia non
esiste senza forma, ma esistono forme non
materiali, come gli angeli), natura angelica
e gerarchia (anche se, a differenza
di Tommaso, credeva che gli angeli non
avessero memoria).
Dante credeva anche che la filosofia
scolastica anticipasse la sua visione della
monarchia come la migliore forma di potere
politico, anche se non poteva essere d’accordo
sul fatto che gli Imperatori dovessero
obbedire ai Papi. Il poeta prese in prestito da
Tommaso anche il concetto di Purgatorio e la
sua gerarchia dei peccati. Prima dell’autore
della “Divina Commedia” nessuno aveva mai
descritto questa parte dell’Oltretomba in
modo così dettagliato.
Paradiso,
Quarto Cielo,
Sole
Il quarto cielo è abitato dagli Spiriti sapienti e dai Dottori della
Chiesa, che danzano in cerchio divisi in due ghirlande. Questo
cielo ha come intelligenza motrice la Potestà, i cui angeli
combattono le forze del male.
Qui Dante incontra il filosofo e teologo Tommaso d’Aquino
e lo definisce “lumera”. Tommaso, a sua volta, si offre
di rivelargli quali saggi circondino il poeta.
Paradiso,
X, 100–103
Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo,
di retro al mio parlar ten vien col viso
girando su per lo beato serto.
Tre volte 24 Spiriti sapienti girano attorno a Dante, formando una doppia “ghirlanda”. Sono come 24 fiori che sono cresciuti dal seme della vera fede.
Prima ghirlanda
Tra il maggio e il giugno 1265,
nacque il primogenito della famiglia
di un nobile fiorentino, Alighiero di
Bellincione (detto anche Alighiero II
Alighieri), figlio di Bellincione
Alighieri, a sua volta figlio di
Alighiero di Cacciaguida (Alighiero
I). Il ragazzo si chiamava Durante.
Alla storia, è passato però con il
nome di Dante
La madre del futuro poeta morì quando lui era ancora un bambino. Dante soffrì molto per questa perdita, per tutto il resto della sua vita. Suo padre, probabilmente un giurista e un usuraio, si sposò una seconda volta, ed ebbe altri due o tre figli (secondo un’altra versione, solo suo fratello era consanguineo di Dante, mentre le sorelle erano acquisite). Il padre di Dante morì nel 1283, e, a 18 anni, il Poeta diventò così il capofamiglia. Le relazioni con suo fratello e le sorelle, a quanto pare, erano buone. Il fratello Francesco aiutò molto Dante nei primi anni di esilio.
Si sa poco degli antenati di Dante. Nel corso
del suo immaginario viaggio nell’Oltretomba,
il poeta incontra un solo parente: il trisavolo
Cacciaguida. Era nato nel 1091 e aveva
partecipato alla Seconda Crociata, che si era
conclusa senza successo. Per il suo coraggio
fu nominato cavaliere da Corrado III di Svevia,
e durante la Crociata morì eroicamente.
Il cognome “Alighieri” arrivò a Dante
presumibilmente dalla moglie di Cacciaguida,
una discendente della famiglia Aldighieri
(trasformatasi poi in Alighieri). Nella “Divina
Commedia”, il poeta elogia, attraverso le
labbra del suo trisavolo, la pacifica e idilliaca
Firenze del passato, contrapposta alla Firenze
del XIII-XIV secolo, lacerata dalle lotte
politiche.
Lo stesso Dante nacque alla fine di molti anni
di lotte tra due fazioni: Guelfi e Ghibellini.
Secondo la leggenda, la controversia sorse
nella prima metà del XIII secolo dopo una
faida di sangue: un giovane, Buondelmonte
de' Buondelmonti, ruppe il fidanzamento
con una ragazza della casata degli Amidei,
preferendole un’altra donna. Per vendetta,
gli Amidei lo uccisero. Una parte di Firenze
(Guelfi) si schierò dalla parte della vittima,
l’altra (Ghibellini) sostenne i partecipanti
al massacro. L’istigatore principale
dell’omicidio è addirittura condannato allo
sventramento nelI’Inferno di Dante.
Ma il vero conflitto tra le fazioni era politico.
In quegli anni, c’era una forte rivalità tra il
Papato e l’Imperatore del Sacro Romano
Impero Federico II per il potere in Italia. La
popolazione dei territori dell’Italia era divisa:
i Ghibellini sostenevano Federico II e i Guelfi
sostenevano il Papa. L’una e l’altra fazione si
avvicendavano al potere. Gli antenati di Dante,
tradizionalmente appartenenti ai Guelfi,
soffrirono molto per i conflitti civili: gli alleati
del Papa furono espulsi due volte da Firenze.
Ma nel 1250, l’Imperatore Federico II morì,
e nel 1264 morì anche Farinata degli Uberti,
capo dei Ghibellini (anche la sua famiglia era
stata coinvolta nell’omicidio del mancato sposo
Buondelmonte). Nel 1266, anche a seguito di
un’alleanza tra il Papa e la Francia, i ghibellini
furono definitivamente sconfitti a Benevento. Un
anno dopo, a seguito di questa sconfitta, gli
alleati dell’Imperatore furono espulsi da Firenze
e persero il loro peso politico per molto tempo.
Dante pose il leader dei Ghibellini Farinata nel
sesto cerchio dell’Inferno, il girone degli eretici.
Tuttavia, il poeta non odiava in modo
pregiudiziale gli oppositori politici dei suoi
antenati. Egli scrisse l’Inferno mentre si trovava
già in esilio, e, benché rimasto di parte Guelfa,
si era avvicinato al pensiero dei Ghibellini,
essendosi appassionato all’idea di una monarchia
giusta e universale. Per quanto riguarda, in
particolare, Federico II, Dante lo considerava
l’ultimo erede legale dell’Impero Romano e un
modello di monarca indipendente dal Papato. Il
poeta rispettava il ghibellino Farinata per aver
rifiutato di distruggere la sua città natale, Firenze,
pur perdendo in questo modo un’occasione
di rafforzare il potere della sua fazione.
Paradiso,
Quinto Cielo,
Marte
Nel quinto cielo, appaiono a Dante gli Spiriti Militanti, le anime
che hanno combattuto con forza per la fede, guidati dalla Virtù,
angeli che personificano il potere divino con vigore e
resistenza.
Da Marte proviene un tale calore che fa sfolgorare le anime. Il
pianeta ha un colore rosso-porpora, che Dante associa ai suoni
celesti della giga e dell’arpa. È qui che Dante incontra il suo
antenato, il crociato Cacciaguida. Il trisavolo predice a Dante
l’esilio da Firenze e gli intrighi dei nemici, e convince il poeta
anche a rivelare al mondo ciò che vede nel suo viaggio nell’Oltretomba.
Paradiso, XV, 88–90
“O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radice”:
cotal principio, rispondendo, femmi.”
L’Italia dei tempi di Dante non era unita in un unico Stato. I territori meridionali facevano parte del Regno di Sicilia e del Regno di Napoli. La parte centrale era controllata dai Papi. Il settentrione, semi-autonomo, era composto da diversi territori e città Stato (compresa Firenze) e faceva parte del Sacro Impero Romano, in cui gli Imperatori venivano eletti dai principi locali e i re tedeschi. Nel Centro-Nord Italia governavano i Comuni che, in genere erano città commerciali che difendevano gelosamente la loro autonomia o indipendenza ed erano in concorrenza tra di loro. Dante sognava la pace e l’unità dell’Italia.
L’ideale del poeta era una
monarchia universale guidata
dal popolo romano come erede
dell’antico Impero Romano.
In essa, il potere sarebbe stato
conferito al monarca —
certamente saggio e giusto —
direttamente da Dio, senza la
mediazione della Chiesa
Dante nutriva grandi speranze che a realizzare questo suo sogno fosse il nuovo re tedesco Enrico VII.
Il re di Francia Filippo IV ambiva a che fosse
suo fratello a salire al trono vacante del Sacro
Impero Romano. Ma I Principi elettori, nel
1308, preferirono il più tranquillo — così
pensavano — conte di Lussemburgo, Enrico.
La sua candidatura fu avanzata
dall’Arcivescovo di Treviri, fratello del futuro
Imperatore. Enrico fu segretamente sostenuto
da Papa Clemente V, che, benché protetto dal
re francese, aveva paura di rafforzare
eccessivamente il suo stesso protettore.
Dal 1250, la lunga tradizione di incoronare gli
imperatori a Roma si era interrotta.
Desiderando ristabilire il potere imperiale
in Italia, Enrico intraprese una campagna
romana nel 1310. Oltre all’incoronazione,
il suo obiettivo ufficiale era di riconciliare le
forze in lotta nel Paese. Il re fu ben accolto dai
Ghibellini, sostenitori dell’Imperatore e anche
dai Guelfi “bianchi” che speravano di riguadagnare la loro antica influenza. I loro nemici, i Guelfi “neri” reagirono con preoccupazione al pacificatore, e per questo motivo si determinarono simpatie e antipatie imperiali.
Molte città giurarono immediatamente fedeltà
a Enrico VII. Già nel gennaio 1311 fu
riconosciuto a Milano come Re d’Italia
e indossò la corona ferrea. Alla cerimonia
partecipò anche Dante. Enrico VII volle
indossare da solo la corona imperiale. Tuttavia,
una parte dell’Italia, per esempio Firenze,
rifiutò di sottomettersi. L’esercito tedesco
rispose duramente alle rivolte. La violenza e la
“rapina” (Enrico VII costrinse le città giurate ad
arricchire il suo tesoro) rovinarono la
reputazione dell’Imperatore.
Ma Dante vide in Enrico VII il salvatore suo
e dell’Italia. In un messaggio ai fiorentini nella
primavera del 1311, il poeta criticò i suoi
concittadini per non volersi sottomettere.
E poi, in una lettera, sollecitò Enrico VII stesso
a conquistare Firenze il prima possibile.
Ma il re esitò, pacificando altre città.
A settembre, tuttavia, soggiogò la città
toscana, perdendo in quello stesso momento
gran parte del suo esercito. Dopo la vittoria
dell’Imperatore in città, fu dichiarata
un’amnistia per gli esiliati politici, che, ironia
della sorte, non incluse Dante.
La posizione di Enrico VII fu aggravata dalla
rivalità con il re di Francia e il sovrano
di Napoli, Roberto d'Angiò, che rivendicava
il dominio del Nord Italia. Alla fine anche
Clemente V si allontanò dall’Imperatore,
e al Papa “traditore” Dante riservò un posto
nella terza bolgia dell’ottavo cerchio
dell’Inferno.
Nel 1312, il re tedesco venne riconosciuto ancora a Roma come Imperatore, ma la sua posizione era fragile. Tentò di eliminare la minaccia rappresentata dal Re di Napoli, ma non ci riuscì. Nell’agosto 1313, Enrico VII morì
di malaria a Buonconvento, non lontano da Siena. Per Dante, la morte del suo modello si trasformò in una terribile delusione, ma il Poeta mantenne fede ai suoi ideali fino alla fine dei suoi giorni.
Paradiso,
Empireo
L’Empireo, che viene dopo i nove cieli, è abitato da angeli, anime
elette e da Dio. Proprio nell’Empireo, dopo il Giudizio Universale,
saranno ammessi i giusti risorti a cui verrà dato il potere
di contemplare il Creatore.
Empireo, che viene dal greco “empýrios”, significa “infuocato”,
“ardente”. L’empireo è costituito da una luce infinitamente pura.
Dante descrive il luogo dove stanno le anime come una Candida
Rosa a forma di anfiteatro.
Beatrice indica a Dante il posto nell’anfiteatro dove si trova una
corona. Quello è il posto che, in futuro, occuperà l’imperatore
Enrico VII (Arrigo), che, secondo Dante, è il modello ideale
di sovrano.
Paradiso, XXX, 136–138
...sederà l’alma, che fia giù agosta,
de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia
verrà in prima ch’ella sia disposta.
Colori della Trinità:
- oro – Padre
- bianco – Figlio
- rosso – Spirito Santo
- Maria
- Donne dell’Antico Testamento
- Servi di Dio
- Giovanni Battista
- Giusti del Nuovo Testamento
- Giusti dell’Antico Testamento
- Anime dei bambini
La mappa dell’Oltretomba di Dante
L’Oltretomba di Dante ha una chiara “geografia” e struttura. Consiste di tre “Regni”: Inferno, Purgatorio e Paradiso, la cui architettura corrisponde non solo alle convinzioni teologiche, ma anche alle idee sulla fisica, sulla struttura della Terra e sull’universo dei tempi del Poeta.
Ogni regno è descritto in una cantica separata della “Divina Commedia”. Dante le ha composte in oltre 15 anni di lavoro. L’“Inferno” è stato scritto nel 1304-1309, il “Purgatorio” tra il 1310 e il 1314. Il “Paradiso” lo iniziò intorno al 1316 e lo terminò poco prima della morte, sopraggiunta nel 1321.
Visualizza la mappa dell’Italia Centrale
a cavallo tra il XIII e il XIV secolo
Mappa dell’Italia Centrale a cavallo
tra il XIII e il XIV secolo
Il Sacro Romano Impero nei secoli XIII-XIV era composto da una miriade di piccoli e grandi Stati e Comuni e assomigliava a un patchwork fatto di toppe di stoffe diverse. L’Italia Settentrionale e Centrale facevano parte dell’Impero, ma le loro ricche città, costituitesi in Comuni, difendevano la loro indipendenza e quindi assomigliavano a dei veri e propri Stati.
Durante gli anni dell’esilio, Dante viaggiò
in molte parti d’Italia. Per un po’ trovò rifugio
a Verona dalla famiglia Della Scala, partecipò
all’incoronazione di Enrico VII a Milano, si recò
a Venezia per una missione diplomatica,
e morì a Ravenna.
La TASS desidera ringraziare:
Segretario Generale di Società “Dante Alighieri” di Roma Alessandro Masi, Dirigente dell’Ufficio Istruzione presso Consolato Generale d’Italia a Mosca-Programma PRIA Giuseppe Lo Porto, Presidente di Società “Dante Alighieri” di Mosca Nataliya Nikishkina, Presidente dell’ Associazione Internazionale “AMICIZIA” Italia-Russia Spirova Ekaterina, Responsabile delle Pubbliche Relazioni Zaza Zurabashvilli, Presidente Fondazione de Claricini Dornpacher Oldino Cernoia, Presidente dell’Associazione degli student Italiani di MGIMO Falcone e Borsellino Fabio Coacci, professori: Aldo Onorati, Eugenio Vender, Valerio De Luca, Gennaro Esposito, Stefano Milda, Egidio Lenti, Alessandro Salacone e anche Anna Sabashnikova per assistenza nel lavoro su questo progetto.
Il progetto è stato realizzato da:
Autore dell’idea: Ksenija Bezvikonnaja
Autori e redattori: Ksenija Bezvikonnaja, Sabina Vakhitova, Alisa Irisova, Timur Fekhretdinov
Responsabile editoriale del progetto: Kristina Nedkova
Designer: Konstantin Kakovkin
Illustratore: Anastasia Zotova
Sviluppatori: Svetlana Levljukh, Konstantin Bizin, Vasilij
Zhurlov
Responsabile del progetto: Nikolaj Wart
Produttore: Konstantin Krasheninnikov
Traduttori: Natalija Nikishkina, Ekaterina Spirova
Revisione a cura di: Gennaro Esposito, Stefano Milda,
Egidio Lenti, Aldo Onorati, Alessandro Salacone
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- Sito web dell "Enciclopedia italiana"
- Sito dell'enciclopedia "Storia mondiale"
- Sito dell'enciclopedia "Around the world"
- Sito della Società Dante Alighieri
- Dizionario enciclopedico di Brockhaus ed Efron
- Digital Dante
Le illustrazioni presenti nel progetto sono un’interpretazione artistica e non hanno pretese di riprodurre la piena autenticità storica
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